2019

 










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  Newsletter 2019

 

 

                                                                      

 

 

  

 

 

Settembre 2019

Sul limite della pignorabilità del quinto dello stipendio.


     Con la sentenza del 9 settembre 2019 n.883, il Tribunale di Siena si è espressa in merito al pignoramento del quinto dello stipendio nel caso in cui questo fosse già gravato dalla cessione volontaria del quinto.
    In particolare, in un processo di merito relativo ad una opposizione all'esecuzione, il Tribunale ha accolto la richiesta dell’opponente di ridurre l’ammontare della somma assegnata al creditore procedente.
     Tale rivendicazione si basava sul combinato disposto degli artt. 68 co. 2 DPR 180/1950 e 545, co.4 c.p.c., da cui si evince che la metà dello stipendio o salario è un limite invalicabile nell’esecuzione, essendo esso volto a garantire le basilari esigenze di vita del debitore, e che il quinto dello stipendio è la quota prevista in generale per i singoli pignoramenti.
   Alla luce di quanto sopra, il Tribunale ha statuito che in caso di pignoramento di un credito su cui già gravava la cessione volontaria del quinto, la differenza fra la metà dello stipendio e la quota ceduta è interamente pignorabile solo se la somma della quota volontariamente ceduta e delle quote dei pignoramenti successivamente intervenuti, ognuno non superiore al quinto, superano la metà dello stipendio, baluardo a garanzia delle basilari esigenze di vita del debitore.

Luglio 2019

Opposizione all’esecuzione ex art. 615 comma 1 cpc: il provvedimento con cui il giudice sospende o meno l’efficacia esecutiva del titolo si può (d’ora in poi) reclamare.


     Con l’importantissima sentenza n. 19889 pubblicata il 23 luglio 2019, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse in materia di opposizione all’esecuzione ex art. 615, I comma, c.p.c., affermando per la prima volta che il “provvedimento con il quale il giudice dell’opposizione all’esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata, decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo è impugnabile con il rimedio del reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c. al Collegio del tribunale cui appartiene il giudice monocratico – o nel cui circondario ha sede il giudice di pace – che ha emesso il provvedimento”.
     Del resto, come acutamente segnalato dai Giudici di Piazza Cavour, “da un lato, non sussistono le ragioni per estendere la non impugnabilità di sistema propria delle inibitorie in sede di impugnazione del titolo giudiziale; dall’altro lato, la natura di provvedimento cautelare, benché sui generis, in difetto di norma derogatoria esplicita comporta la reclamabilità ai sensi dell’art. 669-terdecies cpc”.
     Con la predetta pronuncia, pertanto, la Suprema Corte va a colmare il vuoto normativo lasciato dall’art. 615, I comma, c.p.c., attribuendo alle parti del processo esecutivo un ulteriore strumento a tutela dei propri diritti.

Luglio 2019

Opposizione a decreto ingiuntivo e mediazione obbligatoria: quale parte deve esperire il tentativo? Decidono le SS.UU.


     Con l’ordinanza n. 18741 del 12 luglio 2019, Gli Ermellini affrontano nuovamente il tema – su cui si è espressa anche la giurisprudenza di merito, come già segnalato nella nostra newsletter del gennaio 2019 – relativo all’onere di attivare la mediazione nel’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
     La questione non è certo di facile soluzione, come del resto riconosciuto con l’ordinanza in commento, laddove si afferma che “si può sostenere che l’onere processuale ricada in capo al debitore opponente in quanto parte interessata all’instaurazione e alla prosecuzione del processo ordinario di cognizione … per contro si può sostenere che l’onere processuale sia a carico del creditore ingiungente” posto che “nel caso dell’opposizione a decreto ingiuntivo, come noto, attore in senso sostanziale è l’ingiunto che ha proposto domanda di ingiunzione. Ciascuna delle due opzioni … è assistita da ragioni tecniche”.
     Ecco perché la Suprema Corte ha ritenuto opportuno rimettere gli atti di causa al Primo Presidente, in modo che il problema venga sottoposto all’esame delle Sezioni Unite e si arrivi ad una decisione definitiva sul punto.

Aprile 2019

Se l’avvocato ha indicato la propria PEC, la notifica allo stesso presso la cancelleria è nulla.


     Con la sentenza n. 10102, pubblicata il 10 aprile 2019, la Suprema Corte torna a pronunciarsi sul tema della notifica degli atti alla controparte presso il legale costituito, ribadendo il carattere assolutamente residuale della notifica effettuata mediante deposito in cancelleria (la c.d. “domiciliazione ex lege”).
   Ed infatti, tale ipotesi è percorribile “soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c. per gli atti di parte e dall’art. 366 c.p.c. specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine”.
  Ciò risponde ad “esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata”, ormai improntate – come ben sappiamo – ad una “informatizzazione” del processo sempre più marcata.

Aprile 2019

La verifica dei requisiti di “non fallibilità” deve essere ad ampio raggio e non può limitarsi ai bilanci.


     L’ordinanza n. 10509, pubblicata il 15 aprile 2019, si inserisce nel delicato contesto della procedura c.d. prefallimentare per affermare, una volta di più, l’importanza della fase di verifica dei requisiti di fallibilità.
     Nel caso di specie, un’impresa ha proposto reclamo avverso la sentenza dichiarativa del proprio fallimento, sulla scorta del fatto che nella fase prefallimentare non fosse stato valutato uno dei bilanci dell’ultimo triennio, in quanto non depositato.
     Tuttavia, la Corte di legittimità ha giustamente respinto tale interpretazione, evidenziando che “se pure il bilancio di esercizio può dirsi canale privilegiato … la verifica della sussistenza dei requisiti di non fallibilità è un campo di indagine particolarmente aperto e disponibile … con la piena utilizzabilità dell’intero corredo contabile dell’impresa … è pertanto centrale la valutazione dell’attendibilità, ex art. 116 c.p.c., del materiale disponibile, cioè, del grado di fedeltà del dato ivi rappresentato con l’effettiva realtà dell’impresa”: e ciò a conferma del fatto che, nella predetta indagine, non può e non deve esservi alcuno spazio per la superficialità.

Aprile 2019

Anche la notifica a mezzo pec eseguita dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante nel momento in cui viene eseguita.


     Il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 risulta introdotto nella prima parte dell’art. 16-septies del d.l. n. 179 del 2012, allo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica.
     Ciò giustifica la fictio iuris contenuta nella seconda parte della norma, per cui il perfezionamento della notifica è differito, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo. Ma non giustifica la corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, a cui viene invece impedito di utilizzare appieno il termine - che è computato «a giorni» - utile per approntare la propria difesa.
    L'applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione anche alla notifica effettuata con modalità telematiche consente la reductio ad legitimitatem della norma censurata.
    La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 75 del 09.04.2019, ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 16-septies del d.l. n. 179 del 2012 “nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta”.

      (Corte Costituzionale, 09 aprile 2019, n. 75)

Aprile 2019

La scrittura privata non autenticata ha data certa se forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro postale.


   In materia di data certa la Corte di Cassazione, nella sentenza 9516 del 4 aprile 2019, è tornata sul tema della data certa, ribadendo che "nel caso di scrittura privata non autenticata può essere ritenuta la certezza della data solo nel caso in cui la scrittura formi un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro postale" e ciò in quanto "la timbratura eseguita da un pubblico ufficiale equivale ad attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita".
   E' evidente pertanto che il timbro non può rilevare, ad esempio, ove sia apposto sulla busta in cui è contenuto il documento e non sul foglio stesso.

    (Cassazione civile, 4 aprile 2019, n. 9516)

Aprile 2019

La Ricevuta di Avvenuta Consegna (RAC) prova anche la notifica degli allegati


     Con la sentenza n. 9897 del 9 aprile 2019, la Cassazione si è espressa sulla prova dell’avvenuta ricezione di un messaggio via PEC, affermando che "in tema di notifiche telematiche nei procedimenti civili, compresi quelli cd. prefallimentari, la ricevuta di avvenuta consegna (RAC), rilasciata dal gestore di posta elettronica certificata del destinatario, costituisce documento idoneo a dimostrare, fino a prova contraria, che il messaggio informatico è pervenuto nella casella di posta elettronica del destinatario".
     Tale trasmissione telematica del documento pertanto, "salvo che la legge disponga diversamente, equivale alla notificazione per mezzo della posta".
     Ne deriva che per le notificazioni telematiche previste in ipotesi specifiche "il contenuto del messaggio consiste nella menzione espressa del tipo di atto quale «notificazione» e la prova è costituita dalla RAC completa e ciò in quanto la disciplina normativa del processo telematico non consente la contestazione dell'avvenuta notificazione degli atti digitali una volta generata la ricevuta di consegna telematica nelle forme di legge, salva espressa deduzione di errore tecnici, riferibili al sistema informatizzato, ovvero una documentata contestazione della reale corrispondenza tra quanto indicato nella suddetta ricevuta e quanto realmente pervenuto al destinatario nella propria casella di posta elettronica certificata".

     (Cassazione civile, 9 aprile 2019, n. 9897)

Marzo 2019

Solo un pericolo concreto ed attuale di evizione può giustificare il rifiuto del promissario acquirente alla stipula di un contratto di compravendita definitivo.


     In tema di compravendita immobiliare il promissario acquirente può sospendere il pagamento del prezzo quando ha ragione di temere che la cosa, o una parte di essa, possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia (art. 1418 c.c.).
      La legge, quindi, attribuisce alla parte acquirente uno strumento di autotutela nel caso in cui vi sia pericolo che perda il bene a causa della rivendica da parte di terzi.
     Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha ribadito il carattere di necessaria attualità del pericolo di rivendica del bene, a fronte del quale il compratore può legittimamente sospendere il pagamento del prezzo.
     La decisione della Corte trae origine dalla domanda di risoluzione di un contratto preliminare di compravendita, con contestuale richiesta di condanna dei convenuti alla restituzione del doppio della caparra e al risarcimento del danno, avanzata dal promissario acquirente il quale eccepiva il pericolo di evizione dell’immobile oggetto del contratto proveniente da una donazione potenzialmente lesiva.
     La domanda di parte attrice veniva accolta in prima istanza dal Tribunale di merito e successivamente confermata in sede di appello.
     La Suprema Corte, invece, sposando la tesi dei promittenti alienanti, ha puntualizzato che la facoltà prevista dall’art. 1481 c.c. presuppone un pericolo di rivendica concreto, effettivo ed attuale, che non può identificarsi con il mero timore soggettivo di subire l’evizione, neanche quando il compratore è consapevole che la cosa appartenga ad altri.
     E’ necessario, infatti, che sussistano circostanze oggettive dalle quali desumere l’effettiva e concreta intenzione del legittimo proprietario di rivendicare, in maniera non palesemente infondata, il bene di interesse.
     Tale impostazione trova riscontro nel riconoscimento, in favore del promissario acquirente, del diritto a sospendere il pagamento del prezzo e, se del caso, richiedere la risoluzione del contratto definitivo quando sull’immobile venga per esempio trascritto un atto di citazione con cui un terzo richiede il trasferimento del bene in proprio favore.


      (Cassazione civile, 27 marzo 2019, n. 8571)

Marzo 2019

Per opporre ad un terzo una data non certa, è necessario che venga dimostrato un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l'anteriorità della formazione del documento.


     La Corte di Cassazione, con la sentenza dell’11 marzo 2019, è tornata a parlare del tema della data certa della scrittura privata, affermando che “qualora manchino le situazioni tipiche di certezza contemplate dall'art. 2704, primo comma, cod. civ., ai fini dell'opponibilità della data ai terzi è necessario che sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l'anteriorità della formazione del documento; ne consegue che tale dimostrazione può anche avvalersi di prove per testimoni o presunzioni, ma solo a condizione che esse evidenzino un fatto munito della specificata attitudine, non anche quando tali prove siano rivolte, in via indiziaria e induttiva, a provocare un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento“.
     Nel caso di specie, la Cassazione ha chiarito che “con specifico riguardo ai limiti della prova, in materia di opposizione allo stato passivo, le pronunce del 2/11/2017, n. 26115 e del 1/10/2015, n. 19656, hanno affermato che, ai fini della decisione circa l'opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non di data certa, il giudice di merito, quando voglia darsi la prova del momento in cui il negozio è stato concluso, ove sia dedotto un fatto diverso da quelli tipizzati nell'art. 2704 cod.civ. ha il compito di valutarne, caso per caso, la sussistenza e l'idoneità a stabilire la certezza della data del documento, con il limite del carattere obiettivo del fatto, il quale non deve essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità”.


      (Cassazione civile, 11 marzo 2019, n. 6985)

Marzo 2019

Onere di nuovo disconoscimento della firma a fronte della produzione dell’originale del documento già depositato in copia.


     Successivamente al disconoscimento della conformità della copia all’originale e della sottoscrizione risultante dalla copia prodotta, laddove la parte dichiari di volersi avvalere della scrittura e produca l’originale del documento formulando istanza di verificazione, l’altra parte deve nuovamente disconoscere la firma sul documento e prendere posizione sul documento stesso, in mancanza, il documento è tacitamente riconosciuto ex art. 215 cpc.


      (Trib. Roma, ord. 30 marzo 2019, n. 6857)

Febbraio 2019

La proposta transattiva formulata in udienza non può mai rappresentare una “contra se declaratio”.


   Con la recente sentenza del 27 febbraio 2019, la Corte di legittimità ha ribadito il principio per cui il giudice del merito, nel procedere all’interpretazione degli atti e dei comportamenti delle parti “al fine di stabilire se le trattative di amichevole composizione abbiano o meno comportato riconoscimento del diritto, agli effetti di cui all’art. 2944 c.c., deve attribuire a detti atti e comportamenti il significato conforme all’effettiva intenzione delle parti”.
      Sulla scorta di tale insegnamento, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dalla parte che aveva formulato la proposta transattiva in udienza, ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, dal momento che il giudice di secondo grado, “non cogliendo la radicale differenza esistente tra una proposta transattiva, rimasta tale, ed un accordo perfezionato con cui il venditore riconosce l’esistenza dei vizi e si offre di rimediare, ha ritenuto che la proposta transattiva rappresentasse valido riconoscimento del diritto alla restituzione del prezzo” e, così facendo, “ha violato disposizioni di legge”.


     (Cassazione civile, sentenza in data 27 febbraio 2019, n. 5721).

Febbraio 2019

Ai fini dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., è necessaria la specifica indicazione del fatto costitutivo del credito.


    Con ordinanza del 5 febbraio 2019, la Suprema Corte ha affermato che nell’ambito del giudizio revocatorio, promosso ai sensi dell’art. 2901 c.c., è fondamentale l’identificazione del credito oggetto del giudizio stesso e non basta la “mera indicazione del dato numerico corrispondente all’ammontare del credito, senza altre specificazioni”, poiché “insufficiente … ai fini dell’integrazione del requisito di cui all’art. 163, comma 3 n. 4, c.p.c.”.
      La Cassazione ha infatti precisato che “tale identificazione non può che avvenire mediante l’indicazione del fatto costitutivo”, alla luce “della funzione di conservazione della garanzia patrimoniale svolta dall’azione revocatoria”.
     Pertanto, la Corte di legittimità, confermando le decisioni sia di primo che di secondo grado, ha rigettato il ricorso promosso dal creditore “revocante”, dal momento che quest’ultimo, pur avendo prodotto le cartelle esattoriali da cui desumere l’ammontare del credito, “non ne aveva fatto alcuna menzione in citazione, secondo quanto prescritto dall’art. 163, comma 3, n. 5 c.p.c.”.


     (Cassazione civile, ordinanza in data 5 febbraio 2019 n. 3363).

Gennaio 2019

Superamento tasso soglia usura: sulla scorta delle Sezioni Unite dello scorso giugno un’altra sentenza che chiarisce le modalità di calcolo per effettuare la verifica.


         Con la sentenza n. 1464, del 18 gennaio 2019, la Cassazione ha confermato il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 16303, del 20 giugno 2018.
       Con riferimento alla verifica del superamento del tasso soglia usura, anche in relazione ai rapporti svoltisi in tutto o in parte prima del gennaio 2010, rileva la commissione di massimo scoperto.
      In particolare, ai fini della predetta verifica, da un lato, va effettuata la comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto (TEG) con il tasso soglia, dall’altro lato, la comparazione della commissione di massimo scoperto applicata con la CMS soglia.
      Infine va compensata l’eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata rispetto alla CMS soglia con il margine di cui alla differenza tra il tasso soglia relativo agli interessi e il tasso di interesse applicato in concreto.

       (Cassazione Civile, 18 gennaio 2019, n. 1464)

Gennaio 2019

Opposizione a decreto ingiuntivo: l’onere di attivare la mediazione non può che gravare sulla parte opponente.


       Il Tribunale di Agrigento, con la recente sentenza del 7 gennaio 2019, ha ribadito che la mediazione, nell’ambito dei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, deve essere applicata valorizzando le ragioni che hanno portato alla sua introduzione, in sintonia con le finalità perseguite dal Legislatore.
   Il Giudice, nel ricordare la natura obbligatoria della mediazione nei casi espressamente previsti per legge, ha richiamato la disciplina europea che ha imposto agli stati membri il recepimento di tale istituto, ricordando che il Legislatore italiano, nel fare propria la disciplina europea, ha introdotto la mediazione non come strumento facoltativo, bensì obbligatorio a pena di improcedibilità della domanda giudiziale.
      Ripercorrendo, così, l’iter logico-giuridico seguito dal Legislatore, la sentenza ha chiarito che, nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di attivare la mediazione non può che gravare sulla parte opponente e ciò in quanto una diversa soluzione “sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice”, considerato inoltre che “non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione…”.

       (Tribunale di Agrigento, sentenza 7 gennaio 2019, n. 8)

 

 

 

 

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